Al centro, donne e bambine. Ogni giorno, in tutto il mondo. – ActionAid

Agosto 2025

Al centro, donne e bambine. Ogni giorno, in tutto il mondo.

Le nostre attività mettono al centro le donne e le bambine: interveniamo là dove la loro libertà è messa a rischio, dove subiscono discriminazioni, violenze, o dove vengono private dei loro diritti fondamentali a causa della loro posizione subalterna nella società. 

In questa pagina condividiamo con voi  alcune pillole di approfondimento sulle tematiche trasversali e le sfide che affrontiamo ogni giorno e che vi faranno entrare nel cuore dei nostri progetti, e per raccontarvi come, insieme, possiamo affrontarle.

🔍 Il matrimonio precoce

È una forma di violenza accettata e tollerata da molte società, frutto di tradizioni e pratiche culturali che violano l’integrità fisica della donna e i suoi diritti fondamentali. Ogni anno 12 milioni di bambine vengono date in sposa prima di compiere 18 anni.

Il giorno del matrimonio segna la fine dell’infanzia perché la bambina si ritroverà a dover fare la moglie troppo presto, spesso di un uomo molto più grande di lei, smettendo di andare a scuola, di giocare con gli altri, di essere in buona salute.

Le cause sono complesse e intrecciate: povertà, tradizioni radicate, mancanza di istruzione, ma anche crisi globali—dalle guerre agli eventi climatici estremi—che spingono le famiglie a considerare il matrimonio come una forma di “protezione” per le figlie, l’unica possibilità per assicurarle una minima stabilità economica e sociale.

Secondo stime ufficiali, al ritmo attuale, ci vorranno 300 anni per eliminare il matrimonio precoce nel mondo. Ma la storia di Sumona, che oggi voglio raccontarti, dimostra che cambiare è possibile. E che ogni bambina sottratta a un matrimonio forzato è una generazione salvata.

Sumona è una ragazza del Bangladesh: a soli 12 anni era già promessa sposa. Grazie al supporto del Child Development Centre di ActionAid, ha potuto proseguire i suoi studi e riscoprire il proprio valore. Oggi sogna di diventare avvocato per difendere i diritti di altre bambine.

La storia di Sumona è la prova concreta di come i nostri progetti, costruiti insieme alle comunità, riescano a prevenire e contrastare ingiustizie profonde come il matrimonio precoce.

Ma questo fenomeno non riguarda solo paesi lontani: succede anche in Italia, spesso in maniera nascosta ma altrettanto drammatica. Per questo, portiamo avanti progetti come Join Our Chain, che lavorano per sensibilizzare l’opinione pubblica, prevenire questi abusi e sostenere le ragazze a rischio, promuovendo una cultura di libertà e rispetto.

È grazie a una rete solida, presente sul territorio, e a un lavoro quotidiano fatto di ascolto, dialogo e fiducia che possiamo davvero intervenire dove c’è più bisogno.

🔍 I Centri Antiviolenza (CAV)

Spesso, la condizione di subordinazione delle donne si manifesta proprio tra le mura di casa — il luogo che più di ogni altro dovrebbe essere sinonimo di protezione. È lì che prende forma la violenza domestica, un fenomeno diffuso e conosciuto, ma ancora oggi immerso in silenzi e solitudine.

La violenza domestica è poco visibile, legata a dinamiche complesse di potere e dipendenza. Per questo è fondamentale che tutte le donne sappiano di poter contare su un luogo sicuro a cui rivolgersi quando sono in difficoltà. Un posto dove le loro storie vengano ascoltate, dove possano trovare supporto psicologico e, se necessario, anche legale.

Questo luogo è il Centro Antiviolenza: uno spazio capace di affrontare la violenza domestica in modo integrato, competente e rispettoso.

I CAV sono strutture specializzate che offrono supporto, protezione e accompagnamento a donne che subiscono o hanno subito violenza domestica, sessuale, psicologica, economica o stalking. Sono pensati per essere luoghi sicuri e accoglienti, dove le donne vengono ascoltate senza essere giudicate, e ricevendo un aiuto concreto per affrontare situazioni da cui uscire, spesso, sembra impossibile. In Italia i CAV sono oltre 400, distribuiti su tutto il territorio nazionale.

Con il progetto WeGO, noi di ActionAid abbiamo sostenuto il lavoro fondamentale dei CAV, in Italia e in Europa, aiutandoli a offrire percorsi concreti per ricominciare.

Parliamo di corsi di formazione, accompagnamento verso il lavoro, sostegno psicologico e consulenze personalizzate. Abbiamo lavorato per rendere questi servizi ancora più forti ed efficaci così che sempre più donne possano tornare a scegliere per sé. Secondo l’ISTAT, in Italia il 31,5% delle donne tra 16 e 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nella vita.

Nel 2023, le forze di polizia italiane hanno ricevuto 13.793 richieste di aiuto per violenza domestica o di genere, e nel 61,5% dei casi l’aggressore era un partner o ex partner. I CAV mettono la donna al centro, perché i suoi tempi, le sue paure e le sue decisioni vengono rispettate. Senza obbligarla a fare nulla, si ascolta, si informa, le si sta accanto, lasciandole la libertà di capire e scegliere consapevolmente cosa è meglio per lei.

Anche per Milena è stato così: intrappolata in una spirale di violenza, ha trovato il coraggio di chiedere aiuto a uno dei CAV sostenuti dal nostro progetto WeGO.
E lì ha iniziato a ritrovare forza, dignità e libertà.

Le donne che hanno vissuto violenza hanno bisogno di uscire dall’isolamento, trovare un lavoro e diventare indipendenti. Ed è possibile farlo soltanto attraverso una rete di supporto che, da quando fai parte di ActionAid, è sempre più solida.

Noi di ActionAid lavoriamo ogni giorno per rafforzarla, in Italia e nel resto del mondo. Anche in molti altri Paesi, infatti, la violenza sulle donne è legata a povertà, disuguaglianze e mancanza di diritti fondamentali. È lì che interveniamo, insieme alle comunità locali, per garantire protezione, ascolto e nuove opportunità.
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🔍 MGF: Mutilazioni Genitali Femminili

Per noi, lavorare a stretto contatto con le persone e le comunità di tutto il mondo, significa sapere che si tratta di una pratica così radicata da attraversare Paesi, culture e generazioni. Che esistono sia in contesti lontani che qui, accanto a noi. Striscia nel silenzio e nell’omertà, si nasconde nella vergogna, lasciando segni profondi.

Le MGF sono una forma di violenza che colpisce oltre 230 milioni di bambine e donne nel mondo e che ogni anno ne mette a rischio più di 4 milioni. Le origini della pratica sono molto antiche, se ne trovano tracce nei testi dello storico greco Erodoto e persino nelle mummie dell’antico Egitto. 

Oggi, le MGF sono diffuse in almeno 96 Paesi, in tutti i continenti, con una maggiore concentrazione in Africa centrale, Medio Oriente e alcune zone dell’Asia. In molte comunità, questa pratica rappresenta un rito di passaggio legato a tradizioni culturali e sociali profondamente radicate.

Il fenomeno è presente anche in Italia: si stima che circa 87.600 donne abbiano subito una MGF, molte delle quali appartenenti a comunità migranti -principalmente nigeriane ed egiziane- spesso invisibili e poco tutelate. Consiste nella rimozione, parziale o totale, degli organi genitali esterni femminili per motivi che non hanno alcuna giustificazione medica. Qualsiasi sia la motivazione alla base della sua perpetuazione, c’è sempre un elemento comune: il controllo sul corpo, sulla sessualità e sul ruolo delle donne nella società.

Le motivazioni possono variare, ma spesso si basano su convinzioni legate alla purezza, all’igiene, alla fertilità o al timore dell’esclusione sociale. In diversi contesti, solo le ragazze che subiscono la MGF sono considerate pronte per il matrimonio, e la pressione della comunità spinge le famiglie a compiere quello che ritengono un atto di protezione verso le proprie figlie.

In alcuni casi, la pratica è associata — erroneamente — a precetti religiosi, anche se nessuna religione la prescrive. Talvolta, è legata anche a ideali di femminilità e bellezza tradizionali.

Le conseguenze sulla salute fisica e psicologica delle ragazze possono essere devastanti. Le operazioni avvengono spesso in condizioni igienico-sanitarie precarie, senza anestesia, e comportano rischi di emorragie, infezioni, traumi e complicazioni durante il parto. Inoltre, molte bambine, dopo la pratica, lasciano la scuola e si trovano inserite troppo presto in ruoli da adulti.

Noi di ActionAid lavoriamo al fianco delle comunità per superare insieme questa pratica, senza giudizio, ma costruendo fiducia e consapevolezza.

Collaboriamo con famiglie, giovani, leader religiosi e tradizionali, donne e uomini, per offrire alle ragazze un’alternativa sicura e rispettosa che permetta loro di crescere, studiare e decidere del proprio futuro. Perché cambiare mentalità e tradizioni radicate richiede tempo, ascolto e relazioni durature: per questo il nostro è un lavoro che guarda al lungo termine, che costruisce fiducia giorno dopo giorno.
È proprio in questo contesto che nasce la storia di Abdia Gedi, una donna somala che vive in Kenya, sopravvissuta alle MGF. Abdia ha partecipato ai nostri incontri di formazione sui diritti delle donne, nel suo villaggio. Oggi è una delle voci più attive del movimento Women Network, e dialoga con le comunità somale rurali per contrastare le MGF.

Anche In Italia, siamo al fianco delle donne e ragazze a rischio di MGF, con percorsi di informazione, sensibilizzazione e protezione. Coinvolgiamo comunità, scuole, servizi e istituzioni in un modello di intervento attivo a Milano e Roma, per riconoscere e affrontare tempestivamente i casi. Uno dei ruoli chiave è svolto dai Community Trainers, persone formate e appartenenti alle comunità coinvolte, punti di riferimento a cui le donne possono rivolgersi sapendo di essere capite e accolte. Portiamo avanti questo lavoro attraverso i progetti AfterChainJoin our Chain e Safe, e collaborando con la rete europea End FGM EU.