“La Palestina non chiede carità, chiede giustizia” – ActionAid

Ultimo aggiornamento: 07 ottobre 2025

“La Palestina non chiede carità, chiede giustizia”

Intervista a Riham Jafari, portavoce di ActionAid Palestina

Sono passati due anni dall’inizio della guerra in Palestina: due anni che hanno devastato un territorio, e che hanno segnato con crudeltà, ingiustizia e violenza la vita di generazioni intere. I numeri non bastano più a raccontare l’oppressione quotidiana, né la forza e la dignità di chi, nonostante tutto, continua a resistere.

Il 15 settembre scorso abbiamo raccolto l’intervista alla nostra collega Riham Jafari, Responsabile comunicazione e advocacy di ActionAid Palestina. Attraverso le sue parole, vogliamo rimettere al centro le persone, guardare i volti e ascoltare la voce di tutti i Palestinesi che ogni giorno non chiedono carità: chiedono giustizia.

🔴 Riham, come portavoce di ActionAid Palestina, sei stata spesso intervistata negli ultimi due anni per condividere la tua prospettiva. Qual è il messaggio più forte che vorresti che i nostri sostenitori ascoltassero? E cosa possiamo fare?

🔵 Il mio messaggio ai vostri sostenitori è di continuare a essere solidali e a sostenere. La vostra solidarietà non è solo uno slogan, non è solo un post o una protesta. È una vera e propria ancora di salvezza.

Per ogni bambino a Gaza che guarda un cielo pieno di droni invece che di aquiloni, per ogni madre che ricostruisce la propria casa dalle macerie di ieri, per ogni padre che porta il peso della perdita ma sceglie ancora di sperare—la vostra voce dice loro: Non siete stati dimenticati. 

La lotta della Palestina non riguarda solo confini o politica; riguarda dignità, giustizia e il diritto di un popolo a vivere libero. Ogni volta che parlate, marciate, scrivete, o anche solo sussurrate una preghiera, rompete il silenzio su cui prospera l’oppressione. Dimostrate che l’umanità non ci ha abbandonati. 

Non sottovalutate il potere della vostra posizione. La storia è scritta da chi rifiuta di voltarsi dall’altra parte, da chi insiste sulla verità quando le menzogne dominano. Siate incrollabili. Siate forti. Siate compassionevoli. Perché ogni atto di solidarietà—grande o piccolo—costruisce un ponte di speranza abbastanza solido da resistere a muri e guerre. 

La Palestina non chiede carità. La Palestina chiede giustizia. E insieme, le nostre voci unite sono l’inizio della libertà.

🔴 Come ti senti nel tuo ruolo? Guardando indietro, com’è stata la tua infanzia e quale futuro—per quanto lontano—immagini per i bambini di Gaza?

🔵 La mia infanzia è simile a quella di tutti i rifugiati palestinesi nei campi profughi della Cisgiordania: un’infanzia senza parchi giochi, dove vicoli stretti e muri che crollano diventano l’unico spazio per correre e sognare. 
Le nostre risate risuonavano nelle case affollate costruite di lamiera e cemento, ma erano risate impregnate di resilienza, modellate da storie di perdita e generazioni di esilio. Crescevamo troppo in fretta, imparando il linguaggio dei posti di blocco, del coprifuoco e della sopravvivenza prima ancora di conoscere davvero l’innocenza dei giochi. 
Eppure, nei nostri occhi viveva una scintilla intatta—la convinzione che meritassimo più di una vita definita da recinzioni. 

Per i bambini di Gaza, i cui cieli sono stati feriti da anni di guerra, immagino e desidero un futuro migliore: se il mondo agirà e romperà il suo silenzio, ponendo fine alla guerra e alle loro sofferenze, allora il futuro sarà diverso. Un futuro in cui quella scintilla potrà finalmente ardere: aule piene di luce invece che di macerie, scuole dove l’unico suono sia quello della campanella e non delle bombe; campi dove correre a braccia aperte senza paura; e un domani in cui la loro identità non sia più quella dello sfollamento, ma della libertà, della dignità e della possibilità senza limiti della pace.

Dovremmo imparare a scrivere i nostri nomi, disegnare fiori, rincorrere aquiloni nel cielo. 
I bambini di Gaza, invece, imparano i suoni della guerra: la differenza tra un drone e un missile, il silenzio che precede un’esplosione, la sensazione della paura nel petto di notte. 

Non hanno scelto questa vita. Non hanno scelto di perdere case, scuole, amici, genitori. Vogliono solo ciò che ogni bambino merita: svegliarsi al sicuro, giocare liberamente, sognare senza paura. 

Al mondo diciamo: per favore, non voltatevi dall’altra parte. Il vostro silenzio ci ferisce quanto le bombe. Non siamo numeri. Siamo bambini, proprio come i vostri. Ogni giorno che la guerra continua, il nostro futuro scompare un po’ di più.

Agite ora. Alzate la voce, chiedete la fine della guerra, chiedete che ci sia concesso di vivere. State con noi, perché siamo ancora qui, aggrappati alla speranza, in attesa che il mondo ricordi che anche noi siamo esseri umani, e che le nostre vite hanno valore. 

🔴 C’è un evento in particolare, negli ultimi mesi, che ti ha colpita di più?

🔵 Tutti gli eventi a Gaza sono dolorosi e indescrivibili: bombardamenti, uccisioni, sfollamenti, fame, amputazioni di bambini, perdita di amici. Ma l’evento più doloroso per me è stata la fame. La fame non è solo mancanza di cibo: è una guerra lenta e deliberata contro la vita stessa. Ho pianto quando i miei colleghi e le loro famiglie sono stati costretti a sopravvivere con un solo pezzo di pane diviso tra molti. 
Le mie colleghe, madri, mi hanno detto che andavano a dormire a stomaco vuoto per lasciare da mangiare ai loro figli. E i bambini piangevano tutta la notte, non per paura delle bombe, ma per il dolore più acuto della fame che rode i loro corpi piccoli. 

I mercati sono vuoti, gli aiuti vengono bloccati, anche il cibo più semplice è diventato un sogno lontano. La fame non toglie solo la forza, ma anche la dignità, lasciando le persone a lottare per sopravvivere in silenzio mentre il mondo guarda. 
Parlare della fame a Gaza significa parlare di una crudeltà fabbricata, di una ferita che ogni giorno si approfondisce, e che viene affrontata ancora con resilienza, mentre le persone si aggrappano alla speranza che il mondo agisca prima che un’intera generazione svanisca. 

🔴 Come comunicate e coordinate il lavoro all’interno della Striscia? Come funziona la distribuzione degli aiuti e come affrontate il blocco umanitario in corso?

🔵Non è facile lavorare e comunicare dentro Gaza, dove gli operatori umanitari sono ancore di salvezza, tessendo speranza nel caos nonostante il soffocante blocco e i bombardamenti continui. 
Con le comunicazioni interrotte e l’elettricità spesso assente, ci affidiamo a fragili segnali telefonici, biglietti scritti a mano e reti umane per coordinare dove cibo, acqua e medicine siano più necessari. 

La distribuzione non è mai semplice, con il blocco totale imposto su Gaza che impedisce agli operatori umanitari di entrare. Questo ci costringe a rifornirci da fornitori locali, ed è estremamente difficile perché i camion vengono fermati alle frontiere, le scorte sono limitate, e ogni consegna è accompagnata dal rischio di bombardamenti. 

Eppure, i nostri colleghi e partner si muovono con urgenza e coraggio: organizzano volontari comunitari, allestiscono punti di distribuzione, e si assicurano che i più vulnerabili—anziani, donne, bambini, malati—siano raggiunti per primi. 
Affrontare il blocco significa inventare soluzioni dove non dovrebbero servire, trasformare la scarsità in resilienza, e andare avanti con la convinzione incrollabile che anche un solo pacco di cibo o una sola bottiglia di acqua pulita possano rappresentare sopravvivenza, dignità, e la prova che l’umanità non ha abbandonato Gaza. 

È grazie al supporto dei nostri sostenitori se possiamo lavorare per un mondo giusto e sostenibile, dove ogni persona possa vivere con dignità, in libertà, lontano dalla povertà e dall’oppressione.

Se vuoi, puoi supportare il nostro lavoro a Gaza e in Palestina tramite donazione, cliccando nel banner qui a destra.

Il nostro intervento, fino ad oggi

Grazie alla stretta collaborazione con i nostri partner locali, ai colleghi sul campo e al supporto dei nostri sostenitori, continuiamo a sostenere una le donne e le comunità di una popolazione che, nonostante le ferite, resiste.

Qui di seguito, i numeri aggiornati dei risultati del nostro intervento: